Diego Armando Maradona, l’ultimo AD1OS

Una foto del marzo scorso, quando allenava il Gimnasia Y Esgrima. Un volto provato, un sorriso appena accennato, una mano alzata. E un titolo che basta e avanza: «Murió Diego Armando Maradona». Clarin.com apre così. Il Dio del calcio non ha retto a un blocco cardiorespiratorio. Era stato operato alla testa nei giorni scorsi per un ematoma subdurale. E dopo l’intervento era andato a vivere in una casa nel barrio San Andrés, a Buenos Aires.

Fin qui la cronaca di un giorno nerissimo per il calcio mondiale. Perché potrai essere anche il peggior “nemico” sportivo di uno come Maradona. Potrai anche ergerti a “santo” rispetto ai suoi eccessi e alle sue debolezze. Ma non potrai mai non considerarlo “Il Calcio”. Va in maiuscolo pure l’articolo!

La sua storia l’hanno raccontata in tanti. Con la penna, la macchina fotografica e la telecamera. E per almeno un paio di generazioni di ragazzini innamorati del pallone, quella testa riccia tutta genio e sregolatezza era fonte di ispirazione nelle interminabili partite sull’asfalto o sulla terra battuta. Quelle degli zaini o dei sassi usati come pali di porte che avevano traverse tracciate solo nella mente di chi giocava.

Ti riusciva il dribbling su due avversari contemporaneamente? E subito… “ma chi so’, Maradona?” o qualche frase di quelle tanto care ai telecronisti che lo hanno raccontato, “stirando” a turno una delle vocali del suo cognome per sottolineare l’ennesima magia o un suo gol. Al Barcellona, al Napoli o con la maglia dell’Albiceleste.

E poco importava, a chi cresceva con le magie di Diego negli occhi, che quello stesso Dio del Pallone si rendesse protagonista di cazzate a non finire fuori dal campo. Proprio con quelle magie è diventato “capopopolo”, condottiero di gente in cerca di rivincita. Quella che gli argentini hanno vissuto ai Mondiali del 1986, “fottendo” l’odiata Inghilterra con la più spettacolare serie di dribbling della storia del calcio mondiale. Ma soprattutto nel modo più beffardo, con la “mano de D10S”.

Il riscatto dei napoletani? Inutile pure stare a sottolinearlo. Il “Te Diegum” e “’O Tango ‘e Maradona”, in parole e musica, rafforzano quel legame indissolubile, perpetuato anche dal recente murales di Jorit a San Giovanni a Teduccio. «Si’ nu scugnizzo pure tu comm’ a sta ggente, sulo ‘o pallone tene e po’ nun tene niente».

Una venerazione vera e propria. Al punto che in tanti il 30 ottobre, giorno di nascita di Diego Armando Maradona, augurano a tutti Buon Natale.

Un “nanetto” da solo prende per mano una Nazionale e una squadra di club, conducendole nell’Olimpo del pallone pur avendo accanto solo dei gregari, votati al sacrificio in nome del loro condottiero.

La vita dissoluta? La cocaina? Chissà cosa avrebbe mai potuto inventarsi col pallone, se avesse fatto sempre vita da atleta! Non c’è risposta. Quando non erano i calcioni degli avversari a stenderlo, ci ha spesso pensato da solo a farlo. Ma aveva saputo sempre rialzarsi, così come sembrava avesse fatto anche in questi ultimi giorni, dopo l’operazione alla testa. Invece no, stavolta no.

In questi casi si sente spesso dire che dove finisce la storia, inizia la leggenda. Niente da fare, frasetta di circostanza troppo “mainstream” per uno che non ha mai fatto nulla di ordinario, nemmeno nei casini che ha combinato.

Oggi semplicemente inizia una nuova era per il calcio. Nell’anno 60 dopo D10S.

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